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█  Alcuni frammenti e testi critici

 

Messaggero Veneto – 22 Ottobre 1994.

 “All’ingresso del suo paese, davanti al primo portone, Mammoli saluta l’inconscio popartista e si avvia per il sentiero, solo appena accennato, della lirica astrazione. Cammina trasognato, forse un po’ febbricitante………….nel panico delirio si fa sempre meno limpido il limite che corre tra l’oggettiva realtà delle cose e quella intuitiva e personale della pittura per sé. Scivola così tra velature e trasparenze, tra immagini definite e colore assoluto, tra presenza delle cose e voli leggeri del pennello che le inventa……….e non si decide ad approdare tanto il sogno è suggestivo.”

 

Messaggero Veneto – 8 Novembre 1994.

“……….Giuliano Mammoli è un giovane artista marchigiano attento all’evoluzione della sperimentalità in pittura, non solo dal punto di vista delle tecniche compositive, ma anche e soprattutto da quello della ricerca di un’armonia tra il meglio di quanto prodotto dalle avanguardie, storiche e non. Sul piano tecnico, infatti, la sua intenzione della pittura si intreccia e si modifica attraverso il rapporto con le tecniche incisorie, il gusto del collage e dell’arte povera, il senso della “poesia trovata” e quello della pittura come raffinata ricerca di effetti di velatura. Su quello della comunicazione, si incrociano le esperienze minimalistiche con quelle pop, il senso della Narrativ Art con la più classica intenzione dell’astrattismo lirico. Ne nasce una visione della realtà continuamente in bilico tra la ricerca del particolare infinitesimale, esaltato fino a diventare elemento centrale, e la trasfigurazione delle cose in pura allusione onirica e simbolica………..”

 

Resto del Carlino – 11 Gennaio 1997

I” prelievi dalla grafica pubblicitaria e dalle scorie della civiltà dell’immagine, sono trattati con una raffinata quanto personalissima tecnica pittorica che compone le immagini, in una sorta di “gabbia armonica” dove anche i rimandi al simbolismo e all’onirico sono sottilmente evidenziati.”

 

Corriere Adriatico – 15 Gennaio 1997.

“La sua ricerca espressiva è rappresentata da contaminazioni dall’espressionismo astratto all’informale, dai giornali al manifesto, dalle cartoline al cartellone pubblicitario, in un mix di ironia e citazioni tratte da (scorie della civiltà delle immagini).

 

Resto del Carlino – 28 Gennaio 1997.

“Carte, tele emulsionate e supporti plastici dell’ultima produzione, in cui sono presenti gli scarti, i residui e le scorie della nostra contemporaneità massmediale. Figure di un immaginario collettivo e particolari estrapolati dalla cartellonistica o dalla pubblicità sono impaginati con gusto raffinato e con abile tecnica grafico-pittorica.”

 

Juliet Art Magazine  Luciano Marucci  - Maggio 1997.

“………………….Mammoli ha proposto un tipo di frammenti di immagini e scritte rilevate dal quotidiano e dal mondo della pubblicità inglobate in un contesto astratto che, offuscandone la valenza originaria, le fa diventare altro da sé; ne esalta l’enigma stimolando l’osservatore a cercare significati diversi. Quasi un voler seppellire l’invadente iconografia del presente sotto velature, trasparenze e cromatismi dettati dalla sensibilità interiore……………”

 

Corriere Adriatico – 26 Gennaio 1998

“Al centro l’Idioma in questi giorni è approdato da S. Maria Nuova di Ancona, Giuliano Mammoli che abbiamo avuto modo di conoscere l’anno di conoscere l’anno passato in una mostra presso il “Perimetro Provvisorio” di M. S. Vito, gestito dall’artista Fulgor C. Silvi. Mammoli ad Ascoli ha portato una serie di opere serigrafiche su supporti metallici e su carta con interventi manuali, oltre ad alcuni quadri realizzati in periodi diversi con altre tecniche espressive. Le prime hanno per soggetto immagini oggettive tratte dal quotidiano, rese con gusto pittorico ed immediatezza pubblicitaria, che rimandano alla sua iniziale attività di grafico. Le opere su carta, invece, sfruttano gli effetti sensibili della materia-colore e si offrono alla percezione più soggettiva dell’osservatore. L’insieme delle composizioni evidenzia l’abilità dell’autore nell’uso della serigrafia (già magistralmente introdotta nel pezzo unico dal popartista Andy Warhol) e l’ansia di trovare un percorso personale unitario in un rapporto più intimo tra superficie e profondità.”

 

Corriere di Ascoli – Gazzetta del Piceno 30 Gennaio 1998

“La mostra di Giuliano Mammoli che si tiene questi giorni nel Centro d’Arte l’Idioma, è nel contempo antologica, sperimentale e “didattica. Antologica in quanto l’artista di S. M. Nuova (An), con saggi limitati, ripercorre il suo itinerario che, dopo un iniziale adesione al movimento astratto, con qualificanti occasioni popartiste, è approdato ad un’arte nello stesso tempo sperimentale e didascalica. Se il primo periodo è caratterizzato da ampie superfici emulsionate e monocromatiche, con sottolineature grafiche e materiche di diversi significati e contenuti, l’approdo finale è l’espressione di una ricerca, ancora in fiera intesa a cogliere l’effettualità degli oggetti attraverso il ricorso “artigianale” della serigrafia, i cui esiti sono riequilibrati e sublimati da interventi dell’artista tendenti a cogliere e sottolineare il recupero sentimentale delle cose. Nella mostra, questa fase ulteriore è resa più evidente dalla contrapposizione dell’oggetto originario e ispiratore, una fotografia, con l’oggetto creato dal sentimento e dalle capacità intuitive di Mammoli, dove il gioco raffinato della trasparenza non altera l’immagine dell’oggetto ma ne rinnova l’essenzialità con esiti nel contempo pittorici e grafici.”

 

Dal libro d’arte “DALTONISMO” dedicato al poeta e scrittore Massimo Ferretti.

Massimo Raffaeli (Cuore daltonico) 1998

La saggezza può essere sinonimo di resa all’esistenza o di ironia, anzi di suprema ironia: la      saggezza è di chi accetta il mondo così com’è oppure di chi lo rifiuta proprio perché è così. In entrambi i casi la saggezza è daltonica. Non distingue i colori del mondo ma li confonde o li disarticola per sperperarli e negarli. Sia che sommi o che sottragga i colori, essa da sempre risultati in grigio. In particolare quella dei poeti moderni rifugge dal rosso, il colore cruento del cuore, per averne abusato e fin troppo subito gli impulsi: ad esempio, il cuore messo a nudo da Baudelaire, lo “scordato” strumento (nel senso di dimenticato e insieme spezzato) di Montale fino al cuore liquidato, persino rateizzato, di uno come Massimo Ferretti, il poeta della vita a scadenza, dell’ardore perpetuamente adolescente: “Vendendo il cuore, ho stretto la mano al tempo – anch’io voglio essere saggio –“.

La proliferazione di cuori che aggalla dalle incisioni di Giuliano Mammoli (tenui spettri liberati dalla morsura) dice un lento riaffiorare per velature e sovrapposizioni di grigio che sempre asseconda o contraddice altro grigio. Già inabissato, qui il cuore ritorna in superficie dentro emblemi bidimensionali, seriali e ossessivi, stampandosi sulla materia (non importa se cute, pellicola, creta) alla stregua di un rimorso, di una promessa non ancora adempiuta. Nel gesto di Mammoli il perimetro del cuore rimane una chiazza appena più opaca, quasi una scalfittura in via di rimarginarsi. E’ pelle tenera e decolorata di un cuore daltonico, infinitamente invulnerabile, il cuore di chi oggi è solo, scrive Ferretti, senza più speranze né nostalgie.

 

Un frammento dal catalogo della mostra “Linea Adriatica”

Fabiola Brugiamolini (Curatore e critico d’arte) 1999

“E così i frammenti di immagini e di signa riproposti da Giuliano Mammoli in piccole dimensioni sono come tasselli musivi che, invece di assemblarsi in un’unica figura globale, frantumano ulteriormente la percezione dei messaggi scritti e visivi, indagandoli nella loro sostanza di textures, che si prestano per altre letture., per altri sogni. Mentre talvolta è il particolare ad essere amplificato, acquisendo esso un senso macroscopico che va oltre quello solito e che si esalta nella sua rinnovata dimensione, che è essa pure valida in sé, al di là del messaggio consueto”.

 

█  IL PAESE DELLE MERAVIGLIE “arte in Miglianico Tour 2001” 22 luglio-12 Agosto

Giovanna Coppa

Ti dirigi seguendo le scritte elaborate da Giuliano Mammoli su basi d’alluminio di piccolo formato, variamente componibili tra loro. Sono zampilli di “Memorie urbane”, frammenti di indicazioni direzionali in cui l’intervento pittorico coesiste con le alterazioni della superficie metallica.  Anzi si esaltano a vicenda nella resistenza comune all’ingiuria del tempo e delle intemperanze. Resistenza indebolita da un’ossidazione, un debordare del colore, un incresparsi della superficie. Ti accorgi che puoi comporre e scomporre quelle lettere perché non è la meta che vogliono indicare, né la direzione. Forse il dubbo che le parole possono non avere senso e così i segnali, i simboli. Un senso potrebbe averlo lo scorrere del tempo che altera i materiali come le passioni, la superficie come l’intimità.

Mario Savini

Propone, nell’eccesso ludico di combinazioni fuggevoli, la proliferazione imperfetta di un alfabeto a più celebrazioni. Le indicazioni provengono dai giornali, dalle cartoline o dai manifesti pubblicitari e ricordano, attraverso accenti pop, la superficiale, ma sempre valida poesia anestetica della civiltà dell’immagine. E’ una sorta di monumento che celebra senza controindicazioni l’equilibrio che si pone tra l’immediatezza centripeta dello sguardo e la superficialità cristallina di una necessità sedicente.

 

OBBIETTIVI” “Stamperia dell’Arancio” Grottammare (AP). Ottobre 2001 

Massimo Raffaeli (Filologo)

Un filosofo che non va più di moda, Theodor W. Adorno, scrisse che dire”io”, nel tempo della vita totalmente amministrata, equivaleva ad un abuso. Quella frase, a lungo interpretata come gesto di distanza aristocratica, o come un paradosso dialettico, si rivela oggi vera alla lettera. Tre guerre in dieci anni non solo ammutoliscono ma rendono irrilevante, persino futile, la facoltà di dire “io”. La miseria dell’individuo, qui come altrove, consiste oggi nel riconoscersi atomo irrilevante, target potenziale, casualmente ascrivibile alla guerra santa e/o umanitaria. (Variano la dislocazione geografica, il credo religioso, il colore della pelle, lo status, ma la natura di bersaglio tuttavia non può mutare). Dunque è possibile dire, solamente, “io-sono-un-bersaglio”. Con tempismo terribile, perché involontario, l’istallazione di Giuliano Mammoli semplicemente mostra tutto questo. Lo dice la nuda e gelida serialità dei suoi Obbiettivi, il cromatismo esatto e ossessivo che, simulando un perfetto anonimato (sequenza di bersagli tutti uguali a se stessi, permutabili), testimonia qui-e-ora l’eclissi dell’uomo, il suo virtuale annientamento. Non vi si leva un grido, ma si esala la luce livida di una grande necropoli postmoderna, dove un estremo appello alla vita è percettibile un’alternarsi progressivo del colore, in un suo accendersi improvviso. Forse verso qualcosa, qualcuno, o ancora verso la speranza di un “io”.

 

GIULIANO MAMMOLI: IL SEGNO COME DIALETTICA DELL’AZIONE
“Stamperia dell’Arancio” Grottammare (AP) 10 Novembre 2001.
Leonardo Mancino
(Scrittore, curatore di “Hortus” rivista di poesia e arte). 
Anche quando assorbe influenze estetiche esterne Giuliano Mammoli si esprime tramite l’oggetto essenziale: segno deciso o talvolta erratico, segno netto, segno ottenuto per addizione o sottrazione di materia. In ogni caso dominante. Nelle sue epifanie è un elemento dinamico espressamente (ed espressivamente) riferito a un gesto,  cioè ad una azione.

Si è giustamente scritto che, nella sua assoluta originalità accanita, il segno di Mammoli ha una perentorietà esemplare, fulminante; quando la dialettica tra vita e arte pesa dalla parte della vita, con le sue tristi vicissitudini il segno oggettuale e materiale (che diviene corporietà) vive con sinteticità nel contesto dell’opera, in particolare vive con, protagonismo esaltante il suo rapporto col fondo.

E proprio in questo rapporto tra il gesto e la scena in cui si inserisce la sua recita, - o metaforicamente tra “azione” e realtà”, tra “io” e “mondo”, in questo rapporto tra due entità dialetticamente opposte, che si riassume il racconto e il significato del lavoro di Mammoli a partire dalla sua maturità attuale, dal suo “dopo la vittoria” sulle atrocità della vita.

La sicurezza dell’artista idealista, - colui che procede spedito e senza dubbi nella “spontaneità” della propria ricerca è meraviglioso simbolo di ricchezza dell’artista esistenziale che agisce sullo spazio nella materia, nel mondo, nell’opposizione, è  sua spinta suggestiva verso l’alto.

In questo Giuliano Mammoli (è accaduto ad Hartung), nuovo attualissimo Sisifò, dà alla propria esistenza di artista il significato della rivolta, della sfida: nato fra molteplici possibilità che hanno un limite nel loro stesso prodursi, il suo gesto creativo tende ancora una volta a quella zona di purezza dove non è possibile né l’esitazione né il pentimento; dove l’assoluto perseguito è ogni volta riconquistato e perduto.

Lontane, molto lontane, e ancora nell’ambito del naturalismo, sono le ricerche basate sulla materia come elemento artistico esteticamente autonomo (“L’arte deve nascere dalla materia e dal mezzo, e deve conservare traccia del mezzo e della lotta di questo con la materia”: Debuffet, nel “Prospectus aux amateurs de tout genre”, 1946); così pure lontane sono le “haute pates” di Fautrier; o le visioni di  Wols, avvicinate ad una sorta di poesia a causa di un “lirismo” che è frutto più di una sensibilità del gusto di oggi che di una lucida analisi critica; o la casualità di Pollock che lascia il gesto al livello di pura testimonianza dell’accadimento reale.

In Mammoli la perfezione del risultato estetico è ciò che, nella dialettica che oppone l’io e il mondo, trasforma il gesto in azione, cioè in  valore che modifica il mondo stesso, e lo migliora in nome di un progetto.

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In questa dimensione, in questa prospettiva, in cui inevitabilmente risuonano i richiami della filosofia esistenziale, ma trasferiti su un piano operativo splendidamente pedagogico ed esemplare, assume tutto il suo significato simbolico l’opera di Mammoli.
Significato che, oltre ad allargare i conosciuti confini culturale che, ancora confusamente, travaglia la cultura occidentale. raramente infatti un artista a noi congeniale come Mammoli , è al tempo stesso tanto sopra e tanto dentro al mondo che ci circonda.

Il senso dell’assoluto, anzi il bisogno dell’assoluto, persiste come imperativo che guida la ricerca artistica verso il perfetto risultato estetico, cioè verso l’assoluto. Ma la “spontaneità”, - dopo la vittoria, perduto lo stato di grazia idealistica e affondato l’artista nella sua condizione di uomo, - non è più la struttura dell’attimo creativo.

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La purezza dell’istante bello  nel tempo e nello spazio è raggiunta tramite le istallazioni da Mammoli sì grazie all’assoluto dell’intuizione, ma nella sofferenza dello sforzo.

la dimensione dell’artista sempre si matura, - come avviene per ognuno dei suoi progetti, - nel rapporto/confronto con la realtà: è “spinta al massimo”, fino a verificare in tutta la sua drammaticità la autenticità della condizione umana, cioè la sua quotidiana possibilità di salvezza o di fallimento (“ il est bien difficile de fair leur part à la critique objective et aux effets de l’inconscient dans un travail direct ou l’inspiration, l’”accident”, humainement inèvitable, et les raisonnements se mèlent à chaque instant”).

Possibilità di collegarsi al pubblico senza intermediari. E qui la situazione promette un salto qualitativo completamente inedito.

Investigare la meccanica delle percezioni con l’aiuto di nuove interfaccia uomo-macchina.
Mammoli reclama giustamente la “nostalgia dell’organico”, la “passività come forma conoscitiva”, le “esperienze fatte in prima persona”. ma l’uso creativo dei nuovi media vuole appunto inter-connettere le pulsioni estetiche con i dispositivi digitali per umanizzarli. Vuole crearsi una “propria esperienza” prima che la tecnologia si allontani troppo e schiacci le distanze fra individuo e tecnologia.

Le istallazioni di Giuliano Mammoli: sono oggetti del soggetto/pensiero.

Oggi la stessa arte si trasforma in interfaccia. Interfaccia fra individuo e tecnologie. E’ questo un ritorno al sospetto pensiero utopico/progressista del secolo passato? No, penso che si tratti semplicemente del “desiderio” e dell’”aspettativa” che sono connaturati all’impresa di vivere.

E’ così che Giuliano Mammoli si muove dentro le problematiche “implose” dell’arte, unico linguaggio che si sviluppa da un secolo negando la propria natura e rilanciando periodicamente l’idea della propria morte insieme a nuove “partenze da zero” che trovano nei nuovi media evidenti agganci.
Mentre la letteratura è comunque divisa in generi  che hanno mantenuto il loro peso anche dopo le avanguardie, le arti visive non possono darsi una struttura simile.

 

“Il Messaggero” – 19 novembre 2001. La”Guerra” di Mammoli attualità che continua.

L’istallazione è esposta alla Stamperia dell’Arancio di Grottammare: dal Kossovo ad oggi.

Di Francesco Scarabicchi (poeta)

Venti, venticinque, diciotto, trentasei: la semplice segnatura numerica si riferisce alla serie di “Obbiettivi”, sostantivo plurale che intitola l’istallazione di Giuliano Mammoli (Santa Maria Nuova 1959) realizzata ed esposta alla Stamperia dell’Arancio di Grottammare.

“(…..) finchè storti gli striduli/cardini della terra/cantino e azzurri avvampino/immondi della guerra” scriveva in “Composita solvatur” (“Ancora sul Golfo”) il poeta Franco Fortini nel 1994 e lo rammento osservando il gelo delle ustioni cromatiche allineate e composte alle pareti, collocate sul pavimento in una sorta di scacchiera tonale, nel morbido di una terra gessosa. Sembra quasi un’ironica e voluta piega del destino a collocare quest’opera fra le quinte di una cronaca terribile che, dall’11 settembre, detta i giorni del mondo dai due versanti d’una crudeltà che insanguina. Mammoli li aveva pensati, i suoi “Obbiettivi”, per la mattanza del Kossovo, ma i calendari del Novecento e di questa soglia del nuovo millennio seguitano a contemplare la guerra e il suo barbarico grido in un “ancora” senza fine e senza requie e li fa attuali a sua insaputa i bersagli che non hanno nome eppure li contemplano tutti perché ognuno è particolare polvere nell’attesa del vento che lo cancelli.

Se la guerra, nel decennio che abbiamo attraversato, s’è fatta tema e fondale di un quotidiano resistere nella vita del mondo, se ha riaperto, nell’occidente di “pace terrificante”, gli scenari di un millenario spavento, è anche vero che ha virtualizzato gli effetti del suo deflagare quasi in una sordina mediatica, in una sorta di attutito rumore della morte e della distruzione che filtra appena dalla comunicazione, lasciando trapelare un’assurda asetticità della violenza, dai verdi e notturni bagliori di Bagdad alla traccia della contraerea dei talebani in un San Silvestro tragico in cui si perpetua lo scempio dell’umano. Giuliano Mammoli compone il suo disegno in un estremo e asciutto formulario di varianti del colore definite, nei toni e nelle gradualità, da una operatoria scena dello sguardo che congela la dirompenza emotiva, cristallizza la paura, geometrizza lo spavento in una sintattica misura che declina le sue intransitive verità mute.

Tutte siamo nell’occhio del cecchino ignoto; ospiti casuali del destino, sia guerra o quotidiano esistere, occasionali passanti, transitori cittadini della scena, anonimi nell’ordine della scelta mirata dell’evento. Per ognuno che cade nel cerchio di quell’occhio assoluto., nulla accade davvero, la vita del mondo prosegue senza soluzioni. C’è una bellezza dolente nel lavoro di Mammoli, il segno di una ferita illuminata dal “Grande fosforo imperiale (…)” (Fortini), dal gelo di quel candore d’alba, ad un passo dalla notte.

Inquilina della Stamperia dell’Arancio, l’istallazione di Mammoli convive con il silenzio dei libri e dei cataloghi che da poco meno di vent’anni Riccardo Lupo consegna nella discrezione consapevole di appartenere alla storia di una particolare editoria delle Marche strettamente imparentata con il sogno della pittura e della grafica, con quegli universi miracolosi che racchiudono scritture in versi (il prezioso “Fuggire sempre e sempre ritrovarsi” di Acruto Vitali che unisce poesie dal 1920 al 1985), in prosa (“Esercizi di dattilografia”.inediti di Libero Bigiaretti). Saggi e ricerche (l’ultimo numero, il ventiquattresimo, della rivista “Hortus” curata da Leonardo Mancino).

 

█  OBIETTIVO: SECESSIONE – OBBIETTIVI “Accademia d’Ungheria in Roma “ 22 Febbraio 2002.

Gianluca Marziani (Critico d’arte).

Obiettivo: una parola d’inizio che già racchiude il suo scopo, un termine multifocale per parlare di direzioni (gli obiettivi che un progetto si prefigge) e visioni (l’obiettivo della macchina fotografica ma anche la natura primaria dello sguardo indagatore). Obiettivo come doppio percorso in un incontro tra Giuliano Mammoli, italiano, e Zoltan Banfoldi, ungherese. Mammoli ha intitolato “Obbiettivi” un suo complesso progetto. Si tratta di bersagli lisergici, cerchiature cinetiche che imprimono ritmo e argomenti fantasiosi dentro chi guarda. Il fascino retinico è immediato, penetrante, diretto. Ben diverso, invece, il viaggio curvilineo di rimandi e flash, abbandoni e abbagli che le immagini destano col loro fulgore fluo. Banfoldi, autore del ciclo “Secessione”, ha raccontato Roma tramite l’obiettivo fotografico. La città in bianconero sfuma, si intreccia, sovrimprime storie e sguardi. Diventa sequenza implicita di un ideale film a campo lungo. La metropoli distilla la storia, dentro il presente che qui scivola via: silenzioso, eccitante, inimitabile come la stessa Roma. Entrambi parlano di immaginari mai troppo definiti, di scarti tra le realtà e la sua proiezione bidimensionale. Usano il colore (Mammoli) e il bianconero (Banfoldi) secondo metodologie puramente cerebrali. Mammoli viaggia nell’astrazione indiretta di un bersaglio dal sangue tecnologico; Banfoldi, al contrario, nella figurazione di una fotografia che sembra dileguarsi verso la sua natura astratta. L’apparenza del loro sguardo ricrea qualcosa che sta dietro l’immagine, dentro gli sguardi meticci, oltre la retorica dell’immediato. Tra un obbiettivo che vediamo (per riportarci alla realtà) e un obiettivo che guarda (per allontanarci dalla realtà), ecco la vita tornare verso il primo degli obiettivi: conoscere qualcosa che ieri ci sfuggiva.

 

OFFICINA SIBILLA - Castello della Rancia . Tolentino 6-16 Luglio. 2002

Valerio Dehò

E curiosamente anche delle opere apparentemente astratte come quelle di Giuliano Mammoli danno motivo di riflettere sull’irradiazione del luogo ispiratore della mostra, sulla sua intrinseca energia spirituale. L’artista elabora liricamente dei frammenti di realtà e alla fine il risultato sembra suggerire non soltanto dei giochi cromatici e di forme circolari, ma dei frammenti di un tessuto immaginario scaturito proprio dalla Sibilla, dal suo potere magnetico di essere.

Exibart – martedì 26 Agosto 2003 (Stanze Aperte, Altidona – Ap)

“…….mentre, Giuliano Mammoli lavora sulle relazioni tra instabilità e mobilità creando obbiettivi  lisergici: dei cerchi concentrici basati su alternanze cromatico-percettive dall’effetto quasi psichedelico accompagnate da un’acida luce al neon.”

 

NO NAME Obiettivi sulla realtà – StudioArteFuoriCentro, Roma 13-30 Gen. 2004

Loredana Rea
Da alcuni anni ormai la riflessione di Giuliano Mammoli ruota intorno ad un unico tema, che assorbe totalmente ogni sua energia creativa: la possibilità di penetrare tra le pieghe oscure del reale per portare alla luce ciò che non sempre è visibile, anche quando è lì, davanti agli occhi di tutti.
Nella pratica dell’arte si ricompone, infatti, la dicotomica opposizione tra visibile e invisibile, si supera l’effimera e fuorviante articolazione dell’apparenza, perché ad interessare è, soprattutto, l’opportunità di rapportarsi con la complessità della realtà, per esprimere la necessità insopprimibile di stare dentro la vita, sia pure con tutte le sue tragiche contraddizioni.
Proprio dalla volontà di muoversi tra le luci e le ombre della realtà nasce una serie recente di lavori, che l’artista ha denominato Obiettivi: il colore dilatandosi o restringendosi concentricamente rappresenta simbolicamente  un obiettivo meccanico e contemporaneamente un bersaglio.
Mammoli aveva elaborato queste opere sul filo dei sanguinosi accadimenti legati alla guerra del Kosovo, quando la protesta della popolazione inerme si materializzò nell’occupazione dei ponti con indosso magliette su cui era stato stampato un grosso bersaglio. L’intento provocatorio e tragico era quello di porsi volontariamente come obiettivi facili di una guerra che ognuno di noi poteva seguire attraverso lo schermo della TV, vicina eppure apparentemente lontana.
La sequenza reiterata degli obiettivi rappresentava la provocatoria affermazione di essere tutti indistintamente bersagli senza nome della soverchiante ferocia dell’uomo sull’uomo. L’artista contrapponendo alla rigorosa progettualità del suo lavoro la drammaticità del qui e ora - che urlava: tutti siamo bersagli  possibili nel mirino di un cecchino pronto a sparare anche sulla popolazione inerme - aveva costruito un lavoro struggente, in cui chiare emergevano le paure di chi non si vuole arrendere di fronte all’insensatezza della violenza.

No name è una installazione che Mammoli ha realizzato partendo dalla serie degli Obiettivi, chiaro è il richiamo ai bersagli senza nome, simbolo della quotidiana resistenza a ogni guerra. L’artista ha tessuto nello spazio della galleria un’ampia e suggestiva texture, in cui le originarie icone concentriche sono diventate le raffinate e macroscopiche tessere di un mosaico, che ricopre pareti e pavimento.

Quelle che Mammoli ha elaborato, utilizzando stampe digitali in bianco e nero, sublimazione e somma di tutti i colori, sono icone minimali, rigorose cerchiature cinetiche puntate ossessivamente a congelare in una inquadratura la mobilità, a sezionare chirurgicamente la molteplicità. Sono occhi meccanici che, ingrandendo a dismisura la tessitura del reale, da una parte si insinuano nella pienezza della vita per appropriarsene e restituirla, poi, trasfigurata in tagli spaesanti, mentre dall’altra innescano inevitabilmente una riflessione sull’incomprensibile svolgersi della quotidianità, così che si possa arrivare a suggerire circostanze alternative al di là del semplice richiamo al reale e alla sua rappresentazione.

L’intento è quello di calibrare l’occhio fisiologico con quello meccanico, di trovare un equilibrio tra il riconoscimento del reale e la capacità di andare oltre. Ne consegue che il rifiuto di porsi frontalmente rispetto alle cose, rinunciando a ogni tentazione di registrare, per mostrare, invece, quanto attraverso l’obiettivo esse appaiano differenti, è netto. Ad interessare è la lateralità, che permette di guardare il reale, ma anche di superarlo, trasformando di segno quanto in esso è dolorosamente contraddittorio.

É così che gli obiettivi e i bersagli senza nome da cui l’artista era partito attenuano la loro tragica connotazione, caricandosi di nuove valenze. Proprio mentre un’altra guerra vi va consumando mediaticamente sotto i nostri occhi, assurdamente assuefatti alla violenza della morte e della distruzione, grazie a una sorta di professionale asetticità della comunicazione, Mammoli punta i suoi obiettivi oltre, ad indicare simbolicamente la speranza nel futuro.

PER NUOVE GEOGRAFIE – paoloromani private art gallery, Castelbellino (An).28 Maggio 2006
Gabriele Tinti
In un momento dell’arte in cui le proprie, particolari geografie tendono ad articolarsi in massima libertà e a definirsi – in special modo qua in Italia – su territori di periferia, ecco che assistiamo sempre di più alla nascita di luoghi eccentrici come questo di Paolo Romani. Luoghi veramente suggestivi, situati ai margini, fuori e culturalmente lontani dall’impasse di proposte provata dalle grandi città. E lontani pure dalle spesso sconvenienti ingerenze mercantili. Qui pare ancora possibile sognare e sognare serio sull’eventualità di ricreare quegli stimoli d’avanguardia che sembrano oramai dispersi dai nefasti effetti prodotti da un generale clima uniformante. In questi luoghi - spesso d’archeologia industriale riconvertita– pare proprio ci sia nuovamente spazio per certi sogni. Qui si cerca di resistere davvero per sentire ancora in libertà. Ai luoghi marginali come questo – una segheria ridefinita ad arte per l’arte– è affidata la responsabilità forte di una tale reinvenzione e resistenza. Lo spazio di Paolo Romani inaugura con un autore locale, Giuliano Mammoli, quasi come a voler  omaggiare il territorio in cui ci si appresta ad operare. Scelta perfettamente condivisibile in quanto egli è autore serio e ed apprezzato. Da bricoler di frammenti d’ immagini tratte dal quotidiano e dalla pubblicità –comunque sia da un lavoro concentrato sull’immaginario popular- Mammoli è passato in tempi più recenti alla produzione di monocromi e policromi essenziali, ad una raffinata poesia dell’effetto digitale che fa campi d’energia fluida e lisergica. Un lavoro sulla luce e sulla percezione quindi, per rinnovare e rimeditare sulle istanze optical e cinetiche. Umanità tecnologica a provocazione e a stimolo delle naturali reazioni. Per un reciproco, libero, confronto. Affinché si possa vivere ancora un incontro spurio da qualsivoglia eccesso di relazione, per poter trovare uno spazio possibile di lavoro. Anche –e certo in conseguenza di ciò- per nuove geografie d’arte.

ETICA & ESTETICA - per rapportarsi alla contemporaneità
(catalogo mostra LIFETIME) - Santa Maria Nuova (An) - 5 Settembre 2009

Loredana Rea

Sollecitare una diversa attenzione alla realtà quotidiana per cogliere il senso dell’esperienza della vita è l’invisibile filo che tenacemente lega il percorso artistico di Giuliano Mammoli, i cui interessi da oltre un decennio si sono concentrati sulla necessità di intendere l’arte come il luogo metaforico dell’incontro tra etica ed estetica. Le tematiche affrontate, infatti, si compongono, scompongono e ricompongono a formare un tracciato netto, preciso, mai casuale, anzi sempre metodologicamente costruito, per delineare una ricerca portata avanti negli anni con estrema serietà e obiettivi definiti fin dall’inizio: fare dell’arte una pratica che cambi il modo di pensare della gente, affinché possa vivere una vita più consapevole, sia pure nella sua assoluta problematicità.

Il punto di partenza e di arrivo, allora, coincidono, saldandosi inscindibilmente nella necessità di esplorare la condizione umana in una società sempre meno attenta alle esigenze dell’individuo, per esprimere il bisogno insopprimibile di stare dentro la vita, affrontando le sue profonde contraddizioni.

Dalle esperienze di un’esistenza intessuta troppo spesso di insostenibili complessità l’artista trae spunto per le sue opere, in cui mescola con lucida progettualità e ricercata misura tecnologia e tradizione, a creare un linguaggio ricco di suggestioni, commistioni e contaminazioni capaci di lasciare emergere la densità di senso sottesa ad ogni azione, come se attraverso l’arte si potesse comprendere ciò che appare inesplicabile e sanare le irrimediabili sconnessioni.

Nascono così le installazioni e i quadri, in cui le immagini veicolate dai mass media sono ulteriormente manipolate per offrire sempre nuove opportunità di rapportarsi alla contemporaneità. Ma ad abbracciare con un unico sguardo i lavori recenti di Mammoli, raccolti tutti insieme per questo nuovo momento espositivo, a colpire è la sottile poesia che li pervade, quella stessa che sostanzia le piccole cose inevitabilmente legate alla quotidianità della vita. E della vita di ogni giorno il linguaggio elaborato in questo ultimo decennio di ricerca mantiene la flagranza, rintracciando nei segni del vissuto le motivazioni e le ragioni di sé.
 

█  assenze - 4 poesie di Francesco Scarabicchi
(catalogo mostra LIFETIME) - Santa Maria Nuova (An) - 5 Settembre 2009

Francesco Scarabicchi

 

Una lingua di terra

 

Non sono io a conoscerti, ma il nome

che si posa sulle labbra ferme,

quell’umido mistero di vocali

dette alle rive d’aria, ad una quiete

di riposo e madre, al consonare

del più muto canto, all’odore del giorno,

al fuoco, all’acqua,

a una lingua di terra familiare.

 

*

 

La stanza

 

Camminano con te ginestre e muri,

le vele ai vetri, l’anima del pane,

odori che nemmeno so chiamare,

scarpe che indossi come indossi l’aria

e la luce terribile che inonda

la stanza dove vivi con nessuno.

 

*

 

L’ignota

 

Infiniti gli istanti in cui s’addensa

l’immensa notte di parole spente,

la mai udita verità del senso.

 

*

 

Fili

 

Migrano quando è presto

pensieri come scie, a scomparire.

                                                                                

 

MASSIMO RAFFAELI

(catalogo mostra LIFETIME) Giugno 2009

                               Ogni opera d’arte è un delitto mercanteggiato, cioè ridotto
                         a proporzioni più ragionevoli.
                         T.W.A, Minima moralia

Che l’opera di Giuliano Mammoli, così nitida e persino trasparente nei suoi gesti concettuali, riesca ad evocare il pensiero di un filosofo invece leggendario per la sua oscurità, è un paradosso che si spiega con un preciso antefatto. O meglio con l’ambivalenza che caratterizza la zona più recente e matura del percorso di Mammoli stesso: da un lato le sequenze di qualcosa che contiene sempre l’alfabeto elementare dell’esser-ci (le lettere, le tessere fotografiche di corpi e volti anonimi, perciò universali), dall’altro la frigida e omicida serialità dei bersagli che, nel ciclo immediatamente precedente, rimuovevano del tutto la figura umana solo in quanto, tuttavia, la intendevano braccata, già segnata per una messa a morte non meno universale.

Oggi è come se le due serie, che erano complementari, si sovrapponessero o entrassero in collisione: perché l’alfabeto sembra essere oramai bruciato o scomposto dopo una lotta mortale, perché i medesimi volti di donna, quelle struggenti silhouettes di bambina, hanno assunto l’arrendevolezza dei bersagli mobili e dunque delle vittime predestinate. Infine, le due tazze allineate quasi nella parodia di una pace domestica ambiguamente ritrovata, non è chiaro che cosa contengano: caffè, petrolio, o sangue?

 

 

“LEZIONI DI VOLO” Riflessioni tra etica ed estetica – StudioArteFuoriCentro, Roma 8/28 Gennaio’ 2011
Loredana Rea
 

Tutta l’arte è una rivolta contro il destino dell’uomo

                                                     André Malraux

 

Quella che Giuliano Mammoli ha progettato per questa nuova occasione espositiva è un’istallazione configurata intorno ad un calibrato minimalismo, apparentemente lontana dalle problematiche affrontate in precedenza. A un primo sguardo sembra che l’artista abbia voluto sfiorare con inaspettata levità la complessità dell’esistenza e creare un’atmosfera di metafisica sospensione, in cui enigmatiche forme primarie evocano l’infinito fluire della vita. I bozzoli sono metafora di accadimenti futuri, di energie in fieri, di possibilità inespresse, racchiuse in una sottile corazza che li protegge dal mondo, avulsi dalla quotidianità ed estranei a tutto ciò che succede intorno.

Eppure l’intento non è questo. Ancora una volta, come del resto in ogni circostanza nel corso di questi ultimi anni l’obiettivo è sollecitare una diversa attenzione alla realtà per coglierne il senso, superando l’effimera e fuorviante articolazione dell’apparenza.

Da oltre un decennio, infatti, la ricerca di Mammoli si è indirizzata sulla necessità di intendere l’arte come il luogo dell’incontro tra etica ed estetica. Tanto che le tematiche affrontate si sono composte, scomposte e ricomposte a formare un tracciato netto, preciso, mai casuale, capace di esprimere la convinzione che l’arte è una pratica in grado di cambiare il modo di pensare, ponendo l’accento sulla necessità di vivere una vita più consapevole, sia pure nella sua assoluta problematicità, e di lasciare emergere la densità di senso sottesa a ogni azione. L’assunto di partenza è l’esigenza di esplorare la condizione umana in una società sempre meno attenta ai bisogni profondi dell’individuo, per esprimere l’urgenza di stare dentro la vita, e affrontare le incongruenze che l’attraversano. Mentre il punto di arrivo è la convinzione che attraverso l’arte si può comprendere ciò che appare inesplicabile, sanare le contraddizioni che attraversano la realtà e creare sempre nuove opportunità di confrontarsi ad essa.

L’arte, quindi, è intesa come impegno nei confronti del mondo e lucida presa di coscienza sui modi di trasformarlo, sia pure con gli strumenti che le sono più congeniali. È possibilità di un rapporto diverso con la collettività, per riscoprire il doveroso rispetto dell’altro e ritrovare la capacità di affermare l’importanza di un’integrità imprescindibile. È necessità di combattere contro un sistema che sempre più spesso agisce in senso contrario ai valori che dovrebbe promuovere e opportunità di difendere la libertà di scelta e di azione rispetto alle regole imposte da un organismo sociale che trascura le reali esigenze degli esseri viventi.

Da queste riflessioni nasce il nuovo lavoro di Giuliano Mammoli, ulteriore tentativo per comprendere le ragioni dello scollamento tra l’individuo e la società, costruito come d’abitudine mescolando suggestioni diverse, captate attraverso uno sguardo sempre attento a metterne a fuoco le potenzialità e svelarne la natura, elaborandole poi con l’intelligenza che lo contraddistingue.

A colpire è la sua capacità di partire dalla vita di ogni giorno, per creare una partitura in cui ordinario e straordinario si rapportano dialetticamente, lasciando emergere la sottile poesia che li pervade, quella stessa che sostanzia il farsi silenzioso delle piccole cose.

L’ambiente sembra pulsare di vita propria, nonostante la ricercata rarefazione e l’assenza totale di accadimenti. È come se lo pervadesse la certezza che qualcosa dovrà avvenire, come se si percepisse la forza dell’energia pronta a sprigionarsi, per deflagrare con violenza o propagarsi secondo un ritmo suo proprio. L’artista ha ideato un'elementare eppure potente messa in scena della nudità della condizione umana, svelata a un pubblico capace di avvertirne l’importanza e innestarvi la propria esperienza, che va ad arricchire quella originaria e proietta la realtà verso nuovi orizzonti, in cui la componente emozionale è il punto di contatto. I grandi bozzoli luminosi custodiscono la fragilità di nuove esistenze, che una volta liberate dalla protezione del loro involucro leggero e al tempo stesso tenace, limite provvisorio che separa dalla molteplicità aggressiva dell’esterno, dovranno confrontarsi con le difficoltà della quotidianità. Hanno bisogno di suggerimenti per imparare a vivere e, soprattutto, per comprendere gli errori commessi da altri ed evitare di ripeterli. Necessitano di lezioni di volo, per conquistare la consapevolezza di sé e l’opportunità di costruire un mondo migliore, attento ai bisogni profondi degli uomini e non solo all’esercizio del potere.

 

 

 “LIFE IS A GAME” la vita è un gioco 3D Gallery, Mestre Venezia, 6/20 Luglio 2013.

Gaetano Salerno:

“Eliminando la cortina che imprigiona l’arte all’interno di figure retoriche e liberandola dall’inaccessibilità del messaggio criptato, Giuliano Mammoli instaura contatti diretti e biunivoci con le verità esistenziali, mettendo in scena (nel perimetro della galleria) i dettagli propri della realtà stessa, cristallini nella loro immediatezza, evidenti nella loro veridica presenza.

Senza distaccarsi eccessivamente dal dato esperienziale dunque l’artista compie incursioni nell’insieme semantico dei codici di massa selezionando elementi significativi del nostro pensare, del nostro esistere, del nostro agire, evidenziando così la pigra accettazione di registri imposti e tacitamente condivisi e l’adesione a strutture elaborative rette da immagini prefabbricate attraverso le quali intuire una mappa sociale illusoria.

Estratta l’icona dal baule dell’arte popular, dove essa precede l’idea e talvolta contribuisce ad affermarla, i percorsi artistici di Mammoli tracciano un’analisi in parte archeologica, in parte antropologica, finalizzata a scoprire e riconsiderare manufatti

urbani, in un vorticoso gioco di citazioni che simile ad un calembour affascina e stordisce piacevolmente.

Tutto sembra già visto nel lavoro dell’artista ma tutto in realtà merita – e attende - ancora di essere guardato; alternando categorie e grammatiche artistiche mutuate dalla caotica esperienza del Novecento (del quale restituisce intatta l’energia

sperimentativa ed il velato rifiuto degli accademismi) senza mai distaccarsi però da un vocabolario minore, l’artista contribuisce a rifocalizzare la nostra attenzione al nostro presente, aiutandoci a ricollocarci comodamente all’interno di una dimensione quanto mai attuale, libera da sterili principi descrittivi.

Nel percorso discernitivo che la nostra mente attua per estrapolarne i valori estrinsechi ed intrinseci e li archivia con precisione nei cataloghi dell’arte, in virtù di un valore iconico del prodotto già acquisito che l’artista modifica solo in parte e sul quale evita accuratamente di esprime giudizi, ogni dettaglio del lavoro di Mammoli sembra così erigersi a somma critica del potere delle immagini che governano il nostro mondo ed orientano coercitivamente le nostre attività percettive.

Posizionando le immagini in un colorato collage casuale – senza indagarne aprioristicamente l’ origine e senza riferirne pedantemente la genesi – l’artista ridiscute i principi di realtà e finzione, esibendo nel teatrino dell’arte il suo doppio e rinnegando le antitesi di schemi sociali che ci obbligherebbero ad aderire schematicamente a funzioni sceniche tra loro inconciliabili e alla difficile scelta di esserne o spettatori o protagonisti.

Invertendo invece ripetutamente i ruoli e dilatando il confine tra ciò che è vero e ciò che è mimesi del vero, esprimendo perciò una falsità evidente come paradigma della ri-produzione artistica stessa o di un pensiero impoverito che da tempo ormai non raggiunge la finezza intellettuale propria della speculazione dissertativa, l’artista struttura una realtà rovesciata, nella quale è obbligatorio perdere inizialmente la visione d’insieme, appiattendosi nelle pieghe della bidimensione per poter poi integrare costruttivamente i dati in nostro possesso e giungere alla formazione di una nuova tridimensionalità.

L’azione dell’artista si fa perciò interprete di un realismo fisico secondo il quale il mondo esterno esiste indipendentemente dalle nostre capacità percettive, finendo però per istruire un culto dell’apparire condiviso acriticamente dalla società delle immagini in cui la ritrovata coscienza del particolare concorre all’elaborazione del tutto, in cui si mischiano con forza gli innumerevoli pensieri minori ed intimi dell’individuo (contrapposto alla moltitudine), le istanze soggettive, i correlativi oggettivi, le minime e reiterate singolarità che sprofondano oltre la piacevolezza effimera di questi lavori, decodificando verità inattese.

L’opera di Mammoli evoca la percezione dell’esistere; intuita infatti l’affinità elettiva tra l’intelletto e l’oggetto (come forma conclusa dell’idea), colloca la sua produzione - sia essa pittorica, grafica o scultorea – nello stretto passaggio che dal pop conduce all’irreale, consentendoci così di rientrare in possesso dell’archetipo, riscoperto nel suo pieno valore spirituale, per vivere consapevolmente e armonicamente, attraverso una fruizione che prescinde dalla sua funzione d’uso, l’evoluzione dei nostri livelli di consapevolezza.

Trasfigurato il prodotto scenico in prodotto onirico, nella complessa simbologia che ne consegue, l’oggetto artistico di Mammoli rinuncia alla sua autoreferenzialità per istituire nuovi percorsi espressivi dove ogni frammento linguistico concorre alla creazione di un nuovo universo di segni e di scritture.

Se la vita è un gioco l’arte si specchia in essa, assumendone le regole ed applicandole per individuare autonomamente i confini transitori e labili tra realtà e surrealtà.

Pur non riuscendo sempre ad istituire profili consapevoli di conoscenza, forme attive di scoperta, l’arte è ancora l’unico principio credibile di conoscenza; o di assuefazione. E la vita ancora un gioco le cui regole conducono inevitabilmente e senza possibilità di ripensamenti all’uno o all’altro epilogo.

 

 

 “CROSS MY PRESENT” 2 artisti a confronto Giuliano Mammoli-Beniamino Strani  Punto. Temporary gallery, Macerata, 22/28 Febbraio 2014.

Veronica Vitali:

Oltrepassare il presente, interiorizzarlo sollecitando la memoria al ricordo, al pensiero critico.

Ripetere icone, ripetere oggetti, rimarcare concetti, e poi, ancora, ripetere per non dimenticare.

Chi non ricorda è destinato a replicare, chi dimentica il passato è condannato a riviverlo.

Si ripete un gesto quando giunto a soluzione, sia pure incompleta e parziale, di un problema pratico, psichico, teorico. Si ripete un’azione trasformandola in reale acquisizione, in nuovo sapere, anche se a volte declina il gesto ossessivo. La ripetizione è il primo movimento di un atto creativo, strumento fondamentale dell’apprendimento, che consente di affidare alla memoria le nostre esperienze. Nella sua forma più rudimentale è rassicurazione. E’ ciò che serve nell’avanzamento verso il nuovo, è ciò che rende possibile la variazione e l’invenzione, senza le quali si ricadrebbe nella mera replica. L’intento primario è quello di trovare un equilibrio tra il riconoscimento del reale e la capacità di andare oltre, per poter guardare la realtà, superarla, trasformando quanto in essa è dolorosamente contraddittorio.

Cross my present indaga, dunque, la possibilità di penetrare nelle increspature oscure del reale per portare alla luce ciò che non sempre è visibile, anche quando è lì, davanti agli occhi di tutti.

Sono due artisti a confronto, ad affrontare un così arduo compito, così vicini alla poetica sottesa, così lontani nell’estetica e nelle tecniche impiegate.

Giuliano Mammoli e Beniamino Strani elaborano liricamente dei frammenti di realtà con un risultato estetico finale che propone non solo oggetti composti in forma seriale, ma dei frammenti di un tessuto immaginario, ricco di suggestioni, commistioni e contaminazioni, come se attraverso l’arte si potesse comprendere l’inesplicabile e sanare le inevitabili sconnessioni.

Entrambi gli artisti, nelle loro installazioni, si avvalgono degli oggetti come icone svuotate del loro significato originario per comunicare il senso aulico, delicatamente apparente, delle loro opere. Una visione continuamente in bilico tra la scelta ripetitiva del medesimo elemento, esaltato fino a diventare il nucleo centrale dell’opera, e la trasfigurazione delle cose in pura allusione metaforica.

In Obiettivi, Mammoli rappresenta contemporaneamente un obbiettivo meccanico ed un bersaglio, simbolo e, poi, icona dei sanguinosi accadimenti legati alla guerra del Kosovo, quando la protesta della popolazione si concretizzò nell’invasione dei ponti, indossando magliette con stampato un grosso bersaglio.

La nuda ed agghiacciante serialità di questi cerchi concentrici denota una scelta stilistica alquanto originale: in un perfetto ed imperturbabile anonimato, gli obiettivi mirano a sottolineare provocatoriamente la tragicità della vita.

Una drammaticità, poeticamente dirompente, riproposta da Strani nella sua Three hundread missing, un’installazione di 300 sassi appesi al soffitto con fili di lana. Come salici piangenti, i sassi sono metafore delle vittime della ‘Ndrangheta’, piangono vite spezzate, alcune perfino ignote, abbandonate nel dimenticatoio, perché, si sa, in Italia è una condizione costante. La scelta di questi elementi della terra proviene da un rimando alla tradizione popolare calabrese: quando si andava a trovare un amico e non lo si trovava in casa, si usava lasciare sull’uscio un sassolino per dirgli “sono stato qui”. Sassi che testimoniano, dunque, presenza e assenza.

L’opportunità di rapportarsi con la molteplicità del reale, per esprimere la necessità insopprimibile di essere dentro la vita, anche con tutte le sue tragiche contraddizioni, diviene una costante nella poetica dei due artisti, tanto da manifestare intrinsecamente una speranza nel futuro.

Più intime e introspettive, Lullaby (di Beniamino Strani) e Bozzoli (di Giuliano Mammoli) sfiorano con inattesa lievità la complessità dell’esistenza, creando un’atmosfera di metafisica sospensione. I piccoli cuscini rossi di Strani, modellati manualmente a cadenza giornaliera, si ergono come icone liriche e nostalgiche, metafore di una lunga attesa e di una desiderata guarigione. Anche il materiale diviene poesia: la cera è fortemente legata all’idea di protezione e di rifugio, poichè usata dalle api per costruire gli alveari. Tutto rimanda alla fragilità della vita e alla forza dello spirito.

Enigmatiche forme primordiali che rievocano l’infinito fluire della vita, I bozzoli luminosi di Mammoli appaiono come una visione profetica, preservano la fragilità di nuove esistenze, simboli di possibilità inespresse, custodite in un sottile involucro che le protegge dal mondo, avulsi dalla quotidianità ed estranei alla realtà che li circonda.

Le verità mute, che queste opere hanno l’energia ed il coraggio di comunicare, originano tutte dalla memoria, racchiudono in sè stesse passato e presente, come un flusso continuo di creazione e distruzione. Sono opere in continua evoluzione, poichè conservano quel valore di riconfigurazione, di rigenerazione che è alla base del concetto di differenza. Il superamento del presente genera, così, una saldatura tra vecchio e nuovo, che conferisce autorevolezza ai lavori presenti in mostra.

Ma ad abbracciare con un unico sguardo I lavori dei due artisti, è la sottile poesia che li pervade, l’apparenza del loro sguardo che ricrea qualcosa che sta dietro l’immagine, oltre la retorica dell’immediato. Ecco, dunque, come lo strumento della ripetizione diviene atto creativo, di rinvigorimento o di rinnovo di significato.

Ripetere è parte del nostro mondo, lo è sempre stato, sempre lo sarà. Dai cicli del giorno con le sue routines, a quelli dell’anno con le stagioni, e della vita con il suo continuo districarsi tra nascita e morte.

La ripetizione è un processo fondamentale per fissare e trasmettere le nostre esperienze e, quindi, formare una memoria collettiva oltre ad essere un importante strumento educativo per imparare a conoscere sentimenti, storie, insomma, tutto quello che costituisce la nostra eredità sociale. Ripetere e variare permette, inoltre, di cambiare il sistema culturale, con azioni lente ma significative, lavorando sull’ “adesso”, in questo momento.

Il valore di qualcosa sta nelle sue potenzialità di riconfigurazione, nella capacità di aprire nuove strade, nella capacità di sollevare altre questioni. Ad ogni ripetizione è come se un concetto venga interiorizzato, e possa contenere nuove invocazioni.

Cross my present sintetizza questo concetto, ne diviene sublimazione. Ed ecco la vita tornare verso il primo degli obiettivi: conoscere qualcosa che ieri ci sfuggiva.